Comporre alla tastiera, comporre a mente

A qualcuno potrà sembrar strano, ma non tutti gli autori compongono al pianoforte. Molti ascoltano la musica che risuona loro in testa, senza alcun bisogno di una prova fisica della sua esistenza. Si narra che Ravel componesse molto a mente. Sono note le lettere in cui Mozart racconta di aver immaginato la musica prima di scriverla. Ed è noto che Brahms e Mahler, così stilisticamente distanti, erano accomunati dalla pratica del comporre a mente durante le passeggiate in montagna o al lago.

Non è per tutti così: il povero Beethoven, già completamente sordo nel periodo in cui scriveva la Hammerklavier, manteneva l’indispensabile contatto fisico con il suono stringendo fra i denti una cannuccia che gli restituiva le vibrazioni dello strumento. È piuttosto evidente, inoltre, che i pezzi trascendentali di Liszt non sarebbero potuti nascere se non dall’impatto sull’avorio delle sue dita di prodigioso funambolo. Ed è difficile immaginare la nascita del Sacre di Stravinskij senza quel martellare sulla tastiera, che tanto divertiva i passanti in transito sotto la finestra del suo studio.

Ma anche gli autori che si pensa esser stati più cerebrali hanno spesso un rapporto diretto con la tastiera: quando Bach improvvisa le grandi fughe dell’Offerta Musicale davanti al regale dedicatario è allo stesso tempo un compositore mentale, ed un musicista con le mani ben piazzate sulla tastiera. Ed il suo sommo gioco speculativo, quell’Arte della Fuga dalla scrittura quasi combinatoria, puro gioco immaginativo, vera monadologia delle forme musicali, che altro è se non una silloge di brani per tastiera?



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